Ricerca – “Sedad Hakki Eldem un architetto aristocratico e oltre”

Questo libro, la prima monografia italiana dedicata alla figura di Sedad Hakkı Eldem, è il risultato
di una lunga ricerca che ho svolto tra Firenze e Istanbul nell’ambito della Scuola di dottorato
del dipartimento di Architettura dell’Università degli Studi di Firenze e successivamente
proseguito a Parigi presso il Laboratorio inVisu dell’istituto nazionale di Storia dell’Arte, (inHA).

Il libro è stato pensato e strutturato per tracciare una lettura a tutto tondo della vicenda di
Sedad Eldem attraverso l’analisi di differenti ambiti disciplinari.
A questo proposito, risulta di particolare rilevanza il saggio conclusivo di Edhem Eldem,
storico della Bo˘g azici University di Istanbul e nipote di Sedad Eldem. In questo scritto, che è
un testo di carattere storico a corollario alla parte architettonica del testo, l’autore ambienta il
contesto socio-culturale della famiglia, ne descrive la storia e le relazioni e delinea gli anni in
cui il giovane Sedad Âli¸sanzade, divenne per tutti Sedad Hakkı Eldem.

 

AMBIENTARE L’IDENTITÀ
Vicino alle origini del dialogo moderno fra Turchia e occidente nel campo dell’architettura, sta
un aneddoto emblematico del salto generazionale e di mentalità che si compì intorno alla fine
dell’’800. Quando il giovane Vedat Tek (1873-1942), protagonista insieme a Kemalettin Bey del
cosiddetto ‘primo’ stile nazionale turco, fondato sulla rielaborazione moderna di forme e motivi
ottomani classici, manifestò al proprio padre l’intenzione di diventare architetto, si sentì chiedere
con perplessa ironia: ‘Ma non sarai per caso diventato un giannizzero’? Il corpo dei Giannizzeri
era stato eliminato molti anni prima, nel 1826, dal sultano Mahmud II. Milizia formata in origine
da cristiani deportati e convertiti all’Islam, fedelissimi alla dinastia e allo stato, i Giannizzeri,
paragonati spesso ai Pretoriani, erano diventati col tempo sempre più difficili da controllare e
gestire. Il loro sterminio fu visto come passo fondamentale di una strategia di modernizzazione
che partiva dall’esercito. Era stato così per Pietro il Grande in Russia e per il governatore-viceré
dell’Egitto Mohamed Ali, che avevano eliminato rispettivamente gli Strel’cy a partire dal 1698,
e i Mamelucchi fra il 1805 e il 1811. Ma negli anni dell’apogeo dell’Impero ottomano, anche il
mestiere di architetto era strettamente collegato alla cultura e alla pratica militare. La carriera dello
stesso Sinan (1490-1588), architetto e ingegnere le cui opere sono state viste in una prospettiva
di Rinascimento esteso al Mediterraneo orientale e all’Islam, era iniziata fra i Giannizzeri, ed
era stata scandita da campagne militari: Belgrado, Mohacs, Bagdad, Corfù. Il padre di Vedat
Tek, statista e letterato di formazione tradizionale, associava ancora, a distanza di secoli, la
figura dell’architetto a quella dell’ingegnere militare: dimenticando o fingendo di ignorare che
ormai, nel tardo impero ottomano, l’architettura si stava ri-definendo, istituzionalizzando ed
avvicinando sempre più alle categorie occidentali del progetto, della formazione accademica,
della dimensione estetica di arte bella. Un architetto turco poteva apparire ai suoi occhi come
un’anomalia, in un contesto in cui l’edilizia e la progettazione civile erano dominate da stranieri,
da ottomani non-musulmani (soprattutto greci ed armeni), e da levantini.

S. Acciai, Sedad Hakki Eldem. Un architetto aristocratico e altro ancora, ISBN (online) 978-88-6453-667-5, ISBN (stampa) 978-88-6453-666-8, CC BY 4.0, 2018 Firenze University Press